“2003 , un anno difficile” prevedono i giornali .
A Elisa non importa molto. Una nebbia densa e sottile le sta appannando di giorno in giorno la vista.
Vorrebbe prendere un panno morbido,un giornale vecchio e pulire i suoi occhi come i vetri delle macchine calde e accoglienti,in montagna,quando si passava il Natale sulla neve. Ma non è possibile.
E’ una patolologia senza rimedi e senza recuperi la “macula degenerativa”.
Il nome è anche angosciante:fa pensare ad una pelliccia pregiata,ridotta in modo irriconoscibile da una famiglia di topi affamati.
L’aspetto esteriore è intatto,gli occhi sono lucenti,anche se assomigliano a quelli vitrei delle bambole di pezza.
“Sarà un lento degrado” ha detto l’oculista,”ma non si preoccupi,lei potrà’ ancora orientarsi per lungo tempo.”
Orientarsi e come?
Sulle pagine dei giornali, dove gli articoli di fondo sembrano ad Elisa degli strani geroglifici sbiaditi o in quelle notizie, scritte in piccolo, in fondo alla pagina, dove spesso si scoprono anticipazioni inedite di un giornalista attento e spregiudicato?
Inevitabilmente scompare l’orientamento sul mondo di oggi e di domani e si spalanca l’approccio sui ricordi.
Ecco il salotto, dove Elisa si sedeva bambina,con la cioccolata alla nocciola da sgranocchiare e i biscotti Oswego nella mano. I libri, appoggiati sul divano e divorati in fretta, in quei pomeriggi di maggio, mentre i grandi riposano e si avverte il calore delle giornate estive, che entra dalle tapparelle socchiuse,per non rovinare la tappezzeria…
Quelle montagne di libri si affollano nel ricordo:la letteratura americana del dopoguerra,per scoprire un mondo nuovo come un frutto sconosciuto, i saggi gustosi e importanti,che ti fanno godere della carta scritta, della punteggiatura efficace, dell’odore della pagina appena aperta.
Le corse in ospedale, prima di andare a scuola, per rubare ai medici qualche notizia sulla notte trascorsa dal padre, operato del solito male, da pochi giorni. L’isola Tiberina e il fiume erano tragicamente splendidi nel chiarore dell’alba!
Verona, distrutta da un bombardamento e quell’armadio penzolante da una parete con brandelli di abiti e di vita che pendevano fuori…
E poi,la neve,i giorni felici a Natale, con i bambini che imparavano a sciare sulle piste punteggiate da mille colori e portavano la sera le fiaccole,lungo un magico percorso di luce.
Forse l’apertura della vista sul mondo ci costringe e irrigidisce in una sola dimensione,come la sua perdita ci rinchiude nell’ombra dei ricordi.
Non vi sono quindi altri mondi in cui la dimensione dell’uomo possa aprirsi?
Le immagini complesse e colorate che l’occhio che non vede riesce ancora a produrre, in una fantastica sequenza di cose viste, di volti rielaborati e trasfigurati nel ricordo, non possono costituire l’essenza di una realta’ più’ profonda, sconosciuta agli alfabeti di tutte le lingue?